Copenaghen e il Lago di Garda: il paradosso della bicicletta

Tempo fa un amico mi ha inviato alcune immagini relative a ciclabili di Copenaghen. Sopraelevate e, per questo, dotate di una certa “spettacolarità”, un effetto scenico tipo luna park. Ma non è certo la creazione di un effetto “giostra” la ragione dell’innovativa scelta, ma l’esigenza di migliorare la sicurezza di quanti usano quotidianamente la bicicletta come mezzo di trasporto, limitando le sovrapposizioni con la restante viabilità. Soluzioni all’insegna della tecnologia, che ovviamente richiedono investimenti adeguati. Segno di quanto in quella città (e in genere nei paesi del nord Europa) sia tenuta in considerazione la ciclabilità urbana, ritenuta strategica ai fini della mobilità. Fantascienza se correlata alle scelte nostrane che ancora reputano la ciclabilità urbana figlia di un dio minore. Roba da “fighetti radical chic” che hanno tempo da perdere.

Le ciclabili sopraelevate a dire il vero si prospettano anche dalle nostre parti. Anche in questo caso si tratta di investimenti pubblici costosi, finalizzati tuttavia non a migliorare la ciclabilità urbana, ma a soli fini turistici.

Come ormai ogni anno, allo sbocciare della primavera, la bicicletta nelle sue varie forme e dimensioni si conquista vasti spazi sulle pagine outdoor dei giornali. Insomma, la bicicletta va forte e, come dimostrano le grandi ciclovie europee, è fonte di economia. Un indotto con cifre a molti zeri. Di conseguenza che si creino infrastrutture dolci finalizzate a incentivare il turismo pedalatorio (cicloturismo) ci sta, è cosa buona e molto giusta, ma nella società del no limit si va oltre. Anche la Nostra diventa spunto per baracconate, per banalizzare i territori. Ne è esempio perfetto la ciclovia sospesa, appesa alle pareti calcaree a picco sul Lago di Garda, oggetto di pesanti critiche espresse non solo dalle associazioni di tutela ambientale per il notevole impatto, ma formulate anche da tecnici del settore.

“In nome della ciclabilità è legittimo manomettere così pesantemente il paesaggio? La supponenza delle ingegnerie stradale e geotecnica (perché di questo alla fine si tratta) possono permettersi qualsiasi cosa solo perché si tratta di una ciclabile? In nome del “prodotto bike sul lago di Garda” si può scavalcare qualsiasi limite etico, ambientale e paesaggistico e pure di finanza pubblica? Oltre all’offesa paesaggistica senza precedenti, se quella ciclabile verrà realizzata lo sarà in un contesto geologico enormemente instabile dai cui versanti continuano a cadere rocce, a scivolare frane, a staccarsi sassi”.

Così si esprime su Altreconomia Paolo Pileri, ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano, esperto di mobilità dolce (è ideatore della Ciclovia VENTO, Venezia -Torino).

Di show tourism parla Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere. E come altro definire la performance circense di tale Torquato Testa che si è scaraventato in sella a una bicicletta sui millecinquecento gradini di Monesteroli, la scalinata più ripida delle Cinque Terre. L’impresa gli è valsa una caduta con frattura, compensata da 400mila visualizzazioni sul web.

Avanti signori c’è posto per tutti, per ogni esibizione. Il mercato tira e con l’avvento delle e-bike si schiudono infinite possibilità. Non c’è confine che tenga e così si prospettano grandi ciclovie in quota intervenendo sulle storiche mulattiere per metterle “in sicurezza”. Emblematico il caso dell’Alpe Devero, parco naturale.

La passerella posizionata sulla torbiera al Devero 

Quel che si può fare va fatto, questa è la logica imperante e la bicicletta, questo mezzo fantastico, non può sottrarsi. Ne consegue un uso perverso che ne altera la nobile funzione primigenia. E qui non posso non rivolgermi agli amici biker del Club Alpino Italiano che di recente hanno inviato una lettera aperta al notiziario lamentando una marginalizzazione strisciante all’interno del sodalizio.

Il tema, scottante e divisivo, nel sodalizio e non solo, si chiama “ciclo-escursionismo”, ovvero l’andar per sentieri in sella alla bicicletta, attività che grazie all’evoluzione tecnologica, e alla pedalata assistita (sempre più assistita), ha avuto un notevolissimo incremento, tant’è che in alcune zone è diventata predominante, con l’inevitabile risultato di configurare un conflitto con quanti sui sentieri si limitano a camminare (!).

Circoscrivere la fruizione ciclistica alle strade poderali, alle carrarecce, escludendo i sentieri? Parrebbe questa la tendenza, il possibile compromesso nel sodalizio. I firmatari hanno certo ragione quando affermano che, CAI non CAI, tale pratica continuerà, e anzi -dico io- si amplierà. Ciò considerato, una ipotetica patente di diversità (noi abbiamo un codice etico, rispettiamo i sentieri e chi cammina), è sufficiente a proseguire il gioco (perché di questo si tratta) in libertà?

No, non è così, e non si può far finta di non capirlo. Oggi sono le bici a pedalata assistita e domani, molto presto, sarà il turno delle motociclette elettriche, perché sono “sostenibili”.

È solo questione di tempo: una ciclovia appesa alle pareti del Cervino. Di qua Cervinia, di là Zermatt.

Permafrost permettendo…

Toni Farina